Gervasoni e Papa
4 Luglio 2025

L'intervista al vescovo di Vigevano, mons. Maurizio Gervasoni, recentemente a colloquio con papa Leone XIV.

Nel solco di Agostino, guardando sempre agli ultimi

Lo scorso 17 giugno il vescovo di Vigevano, monsignor Maurizio Gervasoni, ha incontrato papa Leone XIV insieme ai confratelli della Conferenza episcopale italiana. Nell’Aula delle Benedizioni erano presenti oltre duecento presuli per ascoltare quello che, nelle parole del vescovo Gervasoni,

è stato un discorso programmatico, non di convenienza. Prima di concludere ha riassunto i punti, come se fosse un insegnante che prima di terminare la lezione ricordi i passaggi perché vengano memorizzati, e ha dato anche alcune indicazioni operative.

Che persona e che pontefice avete conosciuto?

«Il Papa ha tenuto un discorso abbastanza sintetico. Mostra, come in altre occasioni ho avuto l’opportunità di dire, una personalità molto controllata, attenta, che tiene conto delle logiche di ambiente, dei tempi e dei modi con cui è opportuno dare indicazioni o toccare argomenti. Ha ricordato alcuni punti significativi in continuità con papa Francesco, ma individuano anche un atteggiamento, una personalità diversa che darebbe voglia, senza aver fatto nessuno studio comparato e approfondito, di riferire a una spiritualità diversa, più vicina all’atteggiamento agostiniano, del sant’Agostino de “Le Confessioni”»

In che modo?

«Il sant’Agostino che mette al centro il rapporto personale dell’uomo con Dio e di Dio con l’uomo, quello che mette al centro di questo rapporto il dramma della grazia e del peccato, come storia di salvezza e come storia di grazia. Questo mi sembra sia emerso abbastanza bene nel suo riferimento alla centralità antropologica, alla necessità di un atteggiamento centrato sulla figura di Cristo e una ricerca della pace che sia fedeltà alla confessione di fede, fondamentalmente. Un’altra cosa mi ha colpito»

Di cosa si tratta?

«Lui stesso ha esordito dicendo che ci trovavamo nella loggia nella quale lui è passato prima di affacciarsi su piazza San Pietro, ma anche nella stessa loggia che ha accolto papa Francesco poco tempo prima della sua morte»

papa incontra i vescovi
Il papa incontra i vescovi (SIR)

Prima faceva riferimento a una sorta di discorso programmatico, mettendo al centro annuncio del Vangelo, pace, comunità e dialogo. Come si attuano questi punti nella vita di una diocesi?

«I temi citati mi sembrano pertinenti dal punto di vista teologico e anche urgenti dal punto di vista della condizione culturale sia mondiale sia italiana sia locale. C’è una situazione generale di litigiosità e di difficoltà a partecipare e dialogare, che emerge anche nelle notizie di cronaca e nelle guerre che continuano a esserci. La linea programmatica è chiara e in continuità con Francesco, per quanto riguarda la nostra chiesa io ho letto questi inviti pensando subito al Programma pastorale che abbiamo in corso sul socio-politico, che evidentemente fa riferimento a tutti questi aspetti e che l’anno prossimo approfondiremo in modo significativo»

Un altro caposaldo è la sinodalità, a cui la diocesi di Vigevano ha dedicato un sinodo.

«L’esercizio della sinodalità va modulato in comportamenti e atteggiamenti diversi. Nella dinamica sociale bisogna prevedere momenti specificamente dedicati allo stile sinodale, per cui appunto il Programma pastorale prevede l’attivazione di dinamiche comunitarie e il ricorso a un metodo sinodale come struttura. La sinodalità permette l’acquisizione cosciente di una responsabilità comunitaria che diversamente verrebbe affidata a degli specialisti, cioè l’istituzione ecclesiastica. Quindi la carità la deve fare la parrocchia, poi il gruppo, il volontariato, invece non è vero perché la carità la devono fare tutti. E questo capita anche in politica, ma è una perversione sia della linea evangelica sia della linea democratica.

Per cui la sinodalità vuol dire acquisire uno stile e un metodo, ma è anche un luogo di testimonianza dove la responsabilizzazione a partire dal Vangelo si incontra con l’impegno comune con altri

Il Papa ha esortato inoltre a servire gli ultimi. Quale lettura dà di questo invito in relazione alla realtà della Diocesi?

«Si parte da cinque periferie esistenziali. Cioè, l’attenzione agli ultimi è un’attenzione da parte della Chiesa di tipo strategico e pedagogico. Si va a individuare nell’ambito della vita sociale e comunitaria quelle situazioni dove il desiderio di onnipotenza e di felicità dell’uomo incontra uno scacco, laddove cioè l’uomo si accorge che non è in grado di darsi salvezza oppure addirittura traduce la sua volontà di potenza in comportamenti negativi, in comportamenti colpevoli, delittuosi. Quindi l’attenzione agli ultimi è un’attenzione che recupera l’ambito antropologico della fede. E questa, riprendendo anche Agostino, è l’esperienza della colpa. Nel pensiero agostiniano l’umanità è definitivamente colpevole per cui non ha la possibilità di salvarsi da sola. Proprio perché non è in grado di liberare la libertà compromessa. Allora, partire dagli ultimi significa arrivare alla speranza attraverso la gratuità della fede e la testimonianza della carità»

vescovo Maurizio Gervasoni
vescovo Maurizio Gervasoni

Quali sono le cinque periferie di cui parla?

«L’attenzione ai poveri, al disagio educativo degli adolescenti e dei giovani, alla fragilità del mondo familiare, alle situazioni della salute e della solitudine di persone anziane o malate o croniche, e soprattutto l’attenzione alla povertà di spiritualità in un atteggiamento facilmente pulsionale che poi produce quella che Sartre chiamava la “Nausée”, una facile depressione, una mancanza di senso, di voglia di vivere. L’attenzione agli ultimi è un luogo di speranza significativo per la missione della Chiesa. Il mio è anche un convincimento personale. Una prospettiva veramente inclusiva è solo frutto della fede. La Chiesa non è l’infermiera della società. Francesco parlava di ospedale da campo, l’immagine è suggestiva, ma dal punto di vista strutturale non è sufficiente, perché la salvezza non è opera dell’ospedale del campo. Lui alludeva al guarire le ferite, ma se lo prendo dal punto di vista più teologico, la salvezza viene dall’intervento di Dio, non dalla cura della Chiesa. Altrimenti la Chiesa è indistinguibile da un Ente del Terzo Settore. Centrale è l’azione della fede perché Gesù ci salva morendo sulla Croce, non limitandosi a un’azione socio-politica efficace»

Allargando lo sguardo, il Papa ha fatto suo fin dall’inizio l’impegno per la pace; lei è referente della Cel per il socio-politico, ma dov’è è finita la politica?

«Sperimentiamo in Italia un’evidente crisi di partecipazione democratica. La pace non è la condizione di assenza di conflitti, ma una dimensione che proviene da una concordia attiva e responsabile delle persone che si aprono costantemente al bene, cioè la pace è correlata a un’azione credente. Allora da questo punto di vista il richiamo che fa papa Leone XIV alla pace è legato in primo luogo all’eredità che lui ha ricevuto da papa Francesco. In secondo luogo a mio avviso esce anche dal fatto che lui dal punto di vista della nascita viene dagli Stati Uniti, il cui presidente ha ribadito più volte di essere stato eletto e di dover portare a casa la pace nel mondo, quindi su questo tema occorre a livello emozionale prendere posizione in maniera chiara anche da parte del Papa attuale. C’è poi il fatto che, ma questo è un mio pensiero, essendo lui uno statunitense che è andato in America Latina, dove il rapporto in ordine alla giustizia e alla pace tra il sud del continente e il nord non è sempre stato pacifico, è evidente che questa attenzione a livello personale abbia spinto in una direzione di sottolineatura di questo tema. Senza dimenticare che una delle poche agenzie che esalta la pace in maniera continuativa è la Chiesa cattolica»

vescovi e papa leone
foto sir

Che scenario vede per il mondo?

«Mi preoccupa la deriva di una comunicazione che è usata dalla politica e compromette la politica, che porta a situazioni di massimizzazione del giudizio epidermico delle persone, con un giudizio di identità, alla contrapposizione di complottismi opposti e di pregiudizi molto forti che finiscono per accentuare le conflittualità invece che di cercare insieme le soluzioni amministrative e politiche che portino alla pace»

Con quali risultati?

«C’è una centralità della politica in senso però deteriore e c’è una forma di realizzazione formale della politica democratica in mano però a persone che hanno formalmente la fiducia, ma non declinano mai in maniera del tutto responsabile le scelte che sono fatte: che Trump possa lanciare i missili in Iran senza un dibattito parlamentare, senza un’evidente urgenza militare, mi sembra significativo di un comportamento politico che lui basa sul fatto che è stato eletto dagli americani, ma che può essere benissimo riferibile a problemi caratteriali suoi. Sono molto scettico su ogni forma di presidenzialismo proprio perché la politica per essere vera deve essere dibattuta e concertata per cercare il meglio in condizioni mai univoche. Capisco che può sembrare utopico, ma la democrazia o è così o è semplice parvenza»

Giuseppe Del Signore

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